C’è molto dibattito sulle definizioni di omoplasia e omologia, e su come individuarle tra i caratteri usati in un’analisi filogenetica. Molti sostengono quello che io chiamo un “approccio processuale”, in cui le informazioni sulla genetica, lo sviluppo, la funzione o altri criteri aiutano a priori a identificare due caratteri come omologhi o omoplastici. Sostengo che i processi rappresentati da questi criteri non sono sufficientemente noti per la maggior parte degli organismi e per la maggior parte dei caratteri per essere utilizzati in modo affidabile per identificare omoplasie e omologie. Invece, anche se non è infallibile, la filogenesi dovrebbe essere il test definitivo per l’omologia. Gli stati dei caratteri sono assunti come omologhi a priori perché questo è falsificabile e perché la loro inclusione iniziale nell’analisi degli stati dei caratteri è basata sull’assunzione che possano essere filogeneticamente informativi. Se si eliminano come simplesiomorfie o sinapomorfie in un’analisi filogenetica, il loro status di omologie rimane non falsificabile. Se cadono come omoplasie, essendosi evoluti indipendentemente in più di un clade, il loro status di omologhi è falsificato, e viene identificata un’omoplasia. La serie di trasformazioni dello stato dei caratteri, la morfologia funzionale, i livelli più fini di confronto morfologico, la distribuzione e la correlazione dei caratteri aiutano a spiegare la presenza di omoplasie in una data filogenesi. Spiegare queste omoplasie, e non ignorarle come “rumore”, dovrebbe essere un obiettivo dell’analisi filogenetica tanto quanto la produzione di una filogenesi. Vengono forniti esempi dal record fossile degli ominoidi del Miocene per illustrare i vantaggi di un approccio processo-informa-riconoscimento-pattern-after-the-fact per comprendere l’evoluzione degli stati caratteriali.