Eschilo (c. 525 – c. 456 a.C.) fu uno dei grandi scrittori di tragedia greca nell’Atene classica del V secolo a.C. Conosciuto come ‘il padre della tragedia’, il drammaturgo scrisse fino a 90 opere, vincendo con la metà di esse ai grandi festival ateniesi del dramma greco. Forse la sua opera più famosa è Prometeo legato che racconta il mito del Titano punito da Zeus per aver dato all’umanità il dono del fuoco. Tutte le sue opere sopravvissute sono ancora oggi rappresentate nei teatri di tutto il mondo. Un innovatore del genere, si dice che Eschilo abbia descritto il suo lavoro come “bocconi della festa di Omero”.

La vita di Eschilo

Atene del 5° secolo a.C. fu benedetta da tre grandi tragediografi: Eschilo, Euripide (c. 484 – 407 a.C.) e Sofocle (c. 496 – c. 406 a.C.). Il più anziano dei tre, Eschilo nacque a Eleusi nel 525 a.C. circa. Il padre di Eschilo era Euforione e le fonti antiche affermano che la famiglia apparteneva all’aristocrazia. Vivendo le guerre persiane, Eschilo quasi certamente partecipò a battaglie famose e decisive come Maratona e Salamina. Suo fratello Kynegeiros fu ucciso nella prima battaglia e l’altro suo fratello Ameinias combatté nella seconda. L’epitaffio di Eschilo, che si dice sia stato scritto da lui stesso, non diceva nulla del suo successo come drammaturgo, ma solo che aveva combattuto a Maratona. Queste esperienze e la trasformazione della struttura politica di Atene, che si avviava sulla strada della democrazia, influenzarono notevolmente il lavoro dei drammaturghi.

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I drammi di Eschilo erano noti per i loro costumi stravaganti e l’uso di immagini suggestive.

Altri frammenti di biografia, che sono sopravvissuti dall’antichità, rivelano che Eschilo fu processato una volta per aver rivelato dettagli del culto segreto dei misteri eleusini, ma riuscì a dimostrare la sua innocenza. Dopo il 458 a.C. Eschilo si recò in Sicilia, visitando Siracusa su invito di Gerone I, e intorno al 456 a.C. morì sull’isola nella città di Gela. I drammi di Eschilo erano già riconosciuti come classici e le loro rappresentazioni pubbliche godevano di particolari privilegi. Suo figlio Euforione e suo nipote Filocle divennero entrambi noti drammaturghi a loro volta.

Eschilo l’innovatore

Una tragedia greca veniva tipicamente rappresentata in importanti festival religiosi come le Dionisiache, dove tre drammaturghi scrivevano ciascuno tre opere tragiche e una satira per competere per un premio. Le tragedie erano limitate da alcune convenzioni: il tema era quasi sempre mitologico con elementi religiosi e familiari, il numero di attori che potevano avere ruoli parlanti era limitato (anche se potevano interpretare più personaggi), il coro era composto da 12 o 15 cantanti e tutti gli attori erano maschi e indossavano maschere.

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Disegnatore innovativo, Eschilo fu, secondo Aristotele, responsabile dell’aggiunta di un secondo attore per le parti minori e, includendo più dialoghi nelle sue opere, spremeva più dramma dalle storie secolari così familiari al suo pubblico. Eschilo è anche accreditato come il primo ad usare l’ekkyklema, una piattaforma su ruote usata per cambiare la scenografia, e la mechane, un dispositivo a gru usato per sollevare gli attori. Fu anche noto per i suoi costumi stravaganti e per l’uso di immagini suggestive.

Maschera della tragedia greca
Maschera della tragedia greca
di Mark Cartwright (CC BY-NC-SA)

Le storie dei drammi di Eschilo illustrano che non c’è fuga dalle cattive azioni dei propri antenati e dalla punizione divina. Altri temi che piacevano a Eschilo erano il conflitto tra l’individuo e lo stato, tra gli uomini e gli dei, e contro il vecchio nemico Tempo. Un altro filo conduttore dell’opera di Eschilo è la sua considerazione della minaccia alla ragione e alla persuasione che la violenza comporta.

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Poiché le opere sono state presentate per la competizione in gruppi di quattro (tre tragedie e una satira), Eschilo ha spesso portato avanti un tema tra le opere, creando sequel che hanno seguito diverse generazioni di una singola famiglia. Una di queste trilogie a tema è Agamennone, I portatori di libagioni (o Cheoephori), e Le Furie (o Eumenidi), conosciute collettivamente come l’Orestea. Questo modello di trilogia sarebbe stato copiato da drammaturghi contemporanei e successivi e contribuì a far guadagnare a Eschilo la reputazione di fondatore della tragedia greca come la conosciamo oggi.

L’opera di Eschilo

Eschilo scrisse tra 70 e 90 opere, di cui sei o sette sopravvivono complete insieme a vari frammenti di altre, in particolare I pescatori di reti (Diktyoulkoi) e Spettatori dei giochi istmici (Isthmiastai). La sua prima opera teatrale fu presentata nel 499 a.C. circa e nel 484 a.C. ottenne la sua prima delle 13 vittorie ai festival. Le sue opere complete sopravvissute sono:

  • I Persiani (472 a.C.) – ambientato dopo la vittoria greca (meno di un decennio prima) sui Persiani a Salamina e il ritorno di Serse in Persia.
  • Sette contro Tebe (467 a.C.) – sui maledetti Labdacidi e l’assedio di Tebe. È la terza parte di una trilogia che comprendeva Laio (parte I) e Edipo (parte II).
  • Supplenti (data sconosciuta ma dopo Sette contro Tebe, forse circa 463 a.C.) – sul mito delle Danaidi. Primo di una trilogia, ora perduta, conosciuta come Trilogia delle Danaidi, la parte II è Gli Egiziani e la parte III Le Danaidi.
  • Orestea (458 a.C.) – una trilogia sulle conseguenze della guerra di Troia che comprende Agamennone, I portatori di libagioni (Choephori), e Le Furie (Eumenidi). Proteo, l’opera satira di accompagnamento, non sopravvive.
  • Prometeo legato (c. 457 a.C.) – questa opera è contestata da alcuni studiosi come opera di Eschilo e potrebbe essere stata messa in scena da Euforione a nome di suo padre. Tratta della punizione di Zeus nei confronti del titano Prometeo, che rubò il fuoco agli dei e lo donò all’umanità. È la prima parte di una trilogia con la parte II Prometeo slegato e la parte III Prometeo il portatore di fuoco, entrambe sopravvissute solo in frammenti.

Di seguito una selezione di estratti dalle opere di Eschilo:

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Ecco Prometeo, il ribelle:

Inchiodalo alla roccia, fissalo su questa cima torreggiante

Fermo nella morsa inflessibile di catene adamantine.

È il tuo tesoro che ha rubato, lo splendore fiorito

Del fuoco che tutto modella, e ha dato agli uomini – un’offesa

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Insopportabile agli dei, per cui ora deve soffrire.

(Parla la forza, Prometeo legato, righe 5-10)

Il bronzo, il ferro, l’argento, l’oro nascosti in profondità – chi altri

Ma posso dire di averli trovati per primo? Nessuno, a meno che

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Parla come un pazzo. Quindi, ecco tutta la verità in una parola:

Tutta l’abilità e la scienza umana era il dono di Prometeo.

(Parla Prometeo, Prometeo legato, righe 499-502)

Ora sta accadendo: la minaccia lascia il posto alla performance.

La terra dondola; il tuono, che risuona dal profondo,

Ruona in risposta; lampi infuocati si contorcono e lampeggiano.

La polvere danza in una fontana vorticosa;

Bruciatori dei quattro venti si accalcano insieme,

Si dispongono in assetto di battaglia;

Cielo e mare imperversano indistintamente.

Il cataclisma avanza visibilmente verso di me,

Mandato da Zeus per spaventarmi.

(Prometeo parla, Prometeo legato, righe 1076-85)

Che l’omicidio e la devastazione

Non vengano mai a lacerare questa città,

Per mettere una spada nella mano di Ares, padre delle lacrime,

Per bandire la danza e la musica

Con il grido della guerra civile.

(Coro, I Supplicanti, versi 674-678)

E i guai si susseguirono come un mare che fa rotolare le sue onde;

Una si rompe, e solleva l’altra, tre ammucchiate insieme,

la cui ondata ribolle intorno allo scafo della nostra città;

E la nostra barriera tra la vita e la morte

non è più larga di un muro;

temo per Tebe e la sua stirpe di re,

che non siano travolti tutti insieme.

(Coro, Sette contro Tebe, versi 758-64)

Alas per il nome onorato della Persia!

Lascia stare tutta quella nobile schiera,

il fiore della virilità, il vanto dell’Asia,

dai dei condannati alla vergogna mortale!

La nostra terra piange gli uomini che ha partorito,

Schiacciati per Serse, che ha nutrito

le fauci affamate dell’inferno con i morti persiani.

(Coro, I Persiani, versi 910-17)

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