Robert Devereux, secondo conte di Essex, aveva 34 anni quando la sua testa cadde sulla scure del boia. Era arrivato alla corte di Elisabetta I appena ventenne. Alto e bello, era in tutto e per tutto il giovane aristocratico galante – cavalleresco, aperto, sicuro di sé e impulsivo. La regina, 33 anni più vecchia di lui, si scaldò al suo fascino e ballarono e giocarono a carte insieme per tutta la notte. Servì con il massimo dell’audacia e il minimo di giudizio in varie spedizioni militari e gli furono dati uffici e concessioni lucrative, compreso il prezioso monopolio dei vini dolci importati, che divenne la sua principale fonte di reddito.
Purtroppo, Essex era un pavone per vanità, ferocemente geloso, facilmente offeso e insofferente al dominio di una donna. Un giorno, nel 1598, la regina rifiutò una sua richiesta e lui le voltò le spalle, una spaventosa violazione del galateo alla quale lei gli tirò le orecchie. La sua mano andò dritta alla spada. Un altro cortigiano intervenne ed Essex si allontanò giurando che non avrebbe tollerato un tale insulto nemmeno da suo padre, Enrico VIII. Le dame di corte persuasero la regina a perdonarlo e nel 1599 fu inviato in Irlanda per reprimere una rivolta. Fallì, incolpò del fallimento le macchinazioni dei suoi nemici politici in patria – che erano certamente numerosi – poi sfidò le istruzioni di Elisabetta e tornò in Inghilterra per difendersi. A corte si temeva che avesse intenzione di fare un colpo di stato. Fu messo agli arresti domiciliari e sospeso dai suoi incarichi ufficiali. Poi il suo monopolio del vino dolce non fu rinnovato.
Questo fu il taglio più crudele. Sopraffatto dalla rabbia, Essex complottò per impadronirsi della regina e prendere il controllo del governo. Elisabetta e il suo braccio destro, Robert Cecil, aspettarono pazientemente che il conte superasse se stesso. Cosa che fece domenica 8 febbraio 1601, quando lasciò Essex House nello Strand con più di un centinaio di uomini che brandivano spade, e salì a grandi passi la collina di Ludgate nella City, invitando i cittadini ad alzarsi in suo sostegno. I cittadini, molto sensatamente, trovarono altre cose da fare ed Essex si ritirò con il volto coperto a Essex House, dove fu assediato dai soldati mandati ad arrestarlo. Si arrese e fu imprigionato nella Torre di Londra prima di essere processato per tradimento il 19 febbraio. Si comportò con sdegnoso orgoglio e fu debitamente riconosciuto colpevole.
Essex fu riportato alla Torre, dove implorò di essere giustiziato privatamente, non davanti alla folla a Tower Hill. Questo gli fu concesso e il mercoledì mattina fu portato fuori nel cortile della Torre, riconoscendo con umiltà inusuale che “era stato giustamente buttato fuori da questo regno”. A guardare era un vecchio nemico, Walter Raleigh, la cui testa sarebbe caduta anni dopo. Dopo lunghe preghiere, Essex si tolse il berretto nero e il cappotto, rivelando un gilet scarlatto con maniche lunghe, mise la testa sul blocco e allargò le braccia per indicare che era pronto. Ci vollero tre colpi d’ascia per tagliargli il collo e il boia tenne la testa in alto per i suoi lunghi capelli chiari, dicendo “Dio salvi la Regina! Il messaggero che portò la notizia a Elisabetta a corte la trovò a suonare le verginali. Alla notizia si fermò e ci fu silenzio. Nessuno disse una parola. Di lì a poco ricominciò a suonare.