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C’era, qualche tempo fa, un signore che era molto ricco. Aveva belle case in città e in campagna, i suoi piatti erano tutti d’oro o d’argento, le sue stanze erano tappezzate di damasco, le sue sedie e i suoi divani erano ricoperti delle sete più ricche, e le sue carrozze erano tutte dorate in grande stile. Ma succedeva che questo signore aveva una barba blu, che lo rendeva così spaventoso e brutto, che nessuna delle signore, nelle parti in cui viveva, si azzardava ad andare in sua compagnia. Ora c’era una certa signora di rango, che viveva molto vicino a lui, e aveva due figlie, entrambe di grande bellezza. Barba Blu le chiese di dargli in moglie una di loro, e lasciò a se stessa la scelta di quale delle due dovesse essere. Ma entrambe le ragazze dissero ripetutamente che non avrebbero mai sposato Barba Blu; tuttavia, per essere il più civile possibile, ognuna di loro disse che l’unica ragione per cui non l’avrebbe avuto era perché non voleva impedire alla sorella di fare un matrimonio che sarebbe stato così bello per lei. Comunque la verità era che nessuna di loro poteva sopportare il pensiero di avere un marito con la barba blu; e inoltre, avevano sentito dire che era stato sposato con diverse mogli prima, e nessuno poteva dire cosa fosse successo a qualcuna di loro. Siccome Barba Blu desiderava molto guadagnarsi il loro favore, chiese alla signora e alle sue figlie, e ad alcune signore che erano in visita a casa loro, di andare con lui in uno dei suoi posti di campagna, dove passarono un’intera settimana, durante la quale non passarono altro tempo che feste di caccia e di pesca, musica, balli e feste. Nessuno pensava nemmeno di andare a letto, e le notti erano trascorse in feste di ogni tipo. In breve, il tempo trascorreva con tanto piacere, che la più giovane delle due sorelle cominciò a pensare che la barba di cui aveva tanta paura non era poi così blu, e che il signore che la possedeva era molto civile e piacevole. Poco dopo il loro ritorno a casa, disse a sua madre che non aveva più alcuna antipatia per accettare Barba Blu come marito; e in breve tempo si sposarono.
Circa un mese dopo il matrimonio, Barba Blu disse a sua moglie che sarebbe stato costretto a lasciarla per qualche settimana, perché aveva degli affari da sbrigare in campagna. La pregò di concedersi ogni tipo di piacere, di invitare tutti gli amici che voleva e di offrire loro ogni sorta di prelibatezze, in modo che il tempo potesse passare piacevolmente fino al suo ritorno. “Ecco”, disse, “le chiavi dei due grandi armadi. Questa è la chiave della grande scatola che contiene il piatto migliore, che usiamo per la compagnia, questa appartiene alla mia cassaforte, dove tengo il mio denaro, e questa appartiene allo scrigno, in cui ci sono tutti i miei gioielli. Qui c’è anche la chiave principale di tutte le stanze della casa; ma questa piccola chiave appartiene all’armadio in fondo alla lunga galleria al piano terra. Vi do il permesso”, disse, “di aprire o di fare quello che volete con tutto il resto, eccetto questo armadio. Questo, mia cara, non devi entrare, e nemmeno mettere la chiave nella serratura, per tutto il mondo. Se non mi obbedisci in questa cosa, devi aspettarti i più terribili castighi”. Lei promise di obbedire fedelmente ai suoi ordini; e Barba Blu, dopo averla baciata teneramente, salì sulla sua carrozza e se ne andò.
Quando Barba Blu se ne andò, gli amici di sua moglie non aspettarono di essere invitati, tanto erano ansiosi di vedere tutte le ricchezze e le belle cose che lei aveva ottenuto con il matrimonio; perché nessuno di loro era andato al matrimonio, a causa della loro avversione per la barba blu dello sposo. Non appena giunsero in casa, corsero di stanza in stanza, di armadio in armadio, e poi di armadio in armadio, guardando in ognuno di essi con meraviglia e delizia, e dissero che ogni nuovo armadio che incontravano era più ricco e più bello di quello che avevano visto un momento prima. Alla fine giunsero ai salotti, dove la loro sorpresa fu resa ancora più grande dalla costosa grandezza delle tappezzerie, dei divani, delle sedie, dei tappeti, dei tavoli, delle credenze e degli occhiali; le cornici di questi ultimi erano d’argento dorato, riccamente adornate, e negli occhiali si vedevano da capo a piedi. In breve, nulla poteva superare la ricchezza di ciò che vedevano; e tutti non mancarono di ammirare e invidiare la fortuna della loro amica. Ma per tutto questo tempo la sposa stessa era lontana dal pensare ai bei discorsi che le facevano, perché era ansiosa di vedere cosa c’era nell’armadio che suo marito le aveva detto di non aprire. Il suo desiderio era così grande che, senza pensare a quanto sarebbe stato scortese lasciare i suoi ospiti, scese una scala privata che portava all’armadio proibito, e con una tale fretta che rischiò due o tre volte di cadere dalle scale e rompersi il collo.
Quando raggiunse la porta del ripostiglio, si fermò per qualche istante a pensare all’ordine che suo marito le aveva dato, e a come le aveva detto che non avrebbe mancato di mantenere la sua parola e l’avrebbe punita molto severamente, se non gli avesse obbedito. Ma era così curiosa di sapere cosa c’era dentro, che decise di avventurarsi nonostante tutto. Allora, con mano tremante, mise la chiave nella serratura e la porta si aprì subito. Poiché le imposte della finestra erano chiuse, all’inizio non poté vedere nulla; ma in breve tempo vide che il pavimento era coperto di sangue raggrumato, su cui giacevano i corpi di diverse donne morte.
Erano tutte le mogli che Barba Blu aveva sposato e ucciso una dopo l’altra. A questa vista era pronta a sprofondare dalla paura, e la chiave della porta dell’armadio, che teneva in mano, cadde a terra. Quando si fu un po’ ripresa dallo spavento, la prese, chiuse la porta a chiave e si affrettò a tornare nella sua stanza, per avere un po’ di tempo per divertirsi con la sua compagnia; ma non ci riuscì, tanto era grande il suo spavento per quello che aveva visto. Quando si accorse che la chiave dell’armadio, cadendo sul pavimento, si era macchiata di sangue, la pulì due o tre volte per pulirla, ma il sangue era rimasto lo stesso di prima. Poi lo lavò, ma il sangue non si mosse affatto. Poi la pulì con polvere di mattoni, e poi con sabbia, ma nonostante tutto quello che poteva fare, il sangue era ancora lì; perché la chiave era una fata amica di Barbablù; così che non appena si toglieva il sangue da una parte, esso ritornava dall’altra. La sera stessa, Blue Beard tornò a casa, dicendo che prima che fosse andato lontano nel suo viaggio era stato incontrato da un cavaliere, che veniva a dirgli che il suo affare in campagna era stato risolto senza che lui fosse presente; al che sua moglie disse tutto quello che poteva pensare, per fargli credere che era in preda alla gioia per il suo improvviso ritorno.
La mattina dopo le chiese le chiavi: lei gliele diede; ma poiché non poteva fare a meno di mostrare il suo spavento, Blue Beard indovinò facilmente qual era stato il problema. “Come mai”, disse, “la chiave dell’armadio al piano terra non è qui? “Non c’è?” disse la moglie, “allora devo averla lasciata sulla mia toeletta”. “Assicurati di darmela subito”, rispose Barba Blu. Dopo aver fatto molte volte avanti e indietro, come se cercasse la chiave, alla fine fu costretta a darla a Barba Blu. Lui la guardò attentamente e poi disse: “Come mai c’è questo sangue sulla chiave?” “Sono sicura di non saperlo”, rispose la povera donna, diventando allo stesso tempo bianca come un lenzuolo. “Non lo sai?” disse Barbablù severamente, “ma io lo so abbastanza bene. Siete stata nell’armadio al piano terra! Molto bene, signora: visto che siete così affezionata a questo ripostiglio, sarete sicura di prendere il vostro posto tra le signore che avete visto lì”. Sua moglie, che era quasi morta di paura, cadde in ginocchio, gli chiese mille volte perdono per la sua colpa, e lo pregò di perdonarla, con un aspetto così triste e adorabile che avrebbe sciolto qualsiasi cuore che non fosse più duro di una roccia. Ma Barba Blu disse soltanto: “No, no, signora; lei morirà in questo preciso istante!”. “Ahimè!” disse la povera creatura tremante, “se devo morire, datemi almeno un po’ di tempo per dire le mie preghiere”. “Ti do”, rispose il crudele Barbablù, “mezzo quarto d’ora: non un momento di più”. Quando Barba Blu l’ebbe lasciata a se stessa, chiamò sua sorella; e dopo averle detto, meglio che poteva per i singhiozzi, che le restava solo mezzo quarto d’ora di vita, “Prithee”, disse lei, “sorella Anne” (questo era il nome di sua sorella), “corri in cima alla torre e guarda se i miei fratelli non sono in vista, perché hanno detto che sarebbero venuti a trovarmi oggi, e se li vedi, fai loro segno di galoppare più veloce che possono”. La sorella fece subito come le era stato chiesto; e la povera signora tremante ogni minuto gridava a lei: “Anne! Sorella Anne! Vedi qualcuno arrivare?” Sua sorella disse: “Non vedo altro che il sole, che fa polvere, e l’erba, che sembra verde.”
Nel frattempo, Barba Blu, con un grande cimetro in mano, gridava più forte che poteva a sua moglie: “Scendi subito, o ti vengo a prendere.” “Un momento di più, ti prego”, rispose lei, e chiamò di nuovo dolcemente sua sorella: “Sorella Anna, vedi arrivare qualcuno?”. Al che lei rispose: “Non vedo altro che il sole, che fa polvere, e l’erba, che sembra verde”. Barbablù gridò di nuovo: “Vieni giù, ti dico, in questo stesso momento, o verrò a prenderti”. “Vengo; anzi, verrò tra un minuto”, singhiozzò la sua miserabile moglie. Poi gridò ancora una volta: “Anne! Sorella Anne! Vedi qualcuno venire?” “Vedo”, disse la sorella, “una nuvola di polvere un po’ più a sinistra”. “Pensi che siano i miei fratelli?” disse la moglie. “Ahimè, no, cara sorella”, rispose lei, “è solo un gregge di pecore”. “Volete scendere, signora?” disse Barbablù, con grande rabbia. “Solo un momento ancora”, disse lei. E poi chiamò per l’ultima volta: “Sorella Anne! Sorella Anne! Non vedi arrivare nessuno?” “Vedo”, rispose la sorella, “due uomini a cavallo che arrivano; ma sono ancora molto lontani”. “Grazie a Dio”, gridò lei, “sono i miei fratelli; fagli cenno di affrettarsi”. Barba Blu gridò così forte per farla scendere, che la sua voce scosse tutta la casa. La povera donna, con i capelli sciolti e tutta in lacrime, scese e cadde in ginocchio, pregandolo di risparmiarle la vita; ma lui la fermò, dicendo: “Tutto questo è inutile, perché tu morirai” e poi, afferrandola per i capelli, alzò il suo cimetro per colpirla alla testa. La povera donna ora implorava un solo momento per dire una preghiera. “No, no”, disse Barba Blu, “non ti darò più tempo. Ne hai già avuto troppo”. E di nuovo alzò il braccio. Proprio in quell’istante si udì un forte bussare ai cancelli, che fece aspettare Barbablù per un momento per vedere chi fosse. I cancelli si aprirono e due ufficiali in uniforme entrarono e, con le spade in mano, corsero subito verso Barba Blu, il quale, vedendo che erano i fratelli di sua moglie, cercò di sfuggire alla loro presenza; ma essi lo inseguirono e lo afferrarono prima che avesse fatto venti passi, e piantandogli le spade in corpo cadde morto ai loro piedi.
La povera moglie, che era morta quasi quanto il marito, non riuscì dapprima ad alzarsi e ad abbracciare i suoi fratelli; ma presto si riprese e, poiché Barba Blu non aveva eredi, si ritrovò proprietaria delle sue grandi ricchezze. Diede una parte della sua vasta fortuna come dote di matrimonio a sua sorella Anna, che poco dopo divenne la moglie di un giovane gentiluomo che l’aveva a lungo amata. Una parte del denaro lo investì per comprare le commissioni dei capitani per i suoi due fratelli, e il resto lo diede a un degno gentiluomo che sposò poco dopo, e il cui trattamento gentile le fece presto dimenticare la crudeltà di Barba Blu.